Perizia Econometrica (CPT): a cosa serve e quando?

Tutto quello che c’è da sapere sulla perizia di mutuo econometrica

Il ricorso al finanziamento da parte di un Istituto di credito può assumere diverse forme. A seconda che il richiedente sia una persona fisica o giuridica, i fondi possono essere impiegati per ottenere liquidità utile alla gestione di un’attività imprenditoriale o professionale o servire all’acquisto di beni strumentali, immobiliari o finanziare il credito al consumo. Le casistiche per le quali si può contrarre un debito tramite contratto di mutuo sono dunque le più disparate. Ma non sempre sono chiari al mutuatario tutti i termini del contratto, tanto più che questo viene tendenzialmente stipulato nei locali degli Istituti, con limitate possibilità di approfondirne tutte le clausole per tempo. E in alcuni casi si può verificare che le cifre dovute all’Istituto mutuante che eroga il finanziamento non trovino un’adeguata giustificazione, nelle specifiche contrattuali o nelle disposizioni di legge. In questi casi può essere utile considerare di ricorrere a una Perizia econometrica, per valutare la correttezza dei calcoli e la liceità delle richieste.  

Che cos’è la perizia econometrica?

La perizia econometrica è una verifica delle effettive condizioni contrattuali di un finanziamento applicate dagli Istituti di Credito nei confronti dei correntisti. La procedura è eseguita da consulenti abilitati come commercialisti o periti finanziari, i quali svolgono i calcoli matematico-finanziari e stilano la relazione conclusiva. Obiettivo della perizia econometrica è controllare che le voci di costo di un finanziamento erogato siano conformi alla normativa in vigore. Può accadere infatti che, per diverse motivazioni, un Istituto di credito si trovi ad addebitare al correntista delle cifre che non trovano giustificazione rispetto al contratto stilato o, nell’ambiguità contrattuale, rispetto alle norme in materia. 

Più in dettaglio, i consulenti abilitati verificano che i finanziamenti non siano viziati da:

  • Interessi ultralegali
  • Interessi usurari
  • Anatocismo
  • Commissione di massimo scoperto

Ognuno degli elementi di questa lista comporta a suo modo una crescita ingiustificata o eccessiva del debito contratto, anche a rischio della sua sostenibilità da parte del debitore. I primi due riguardano il valore del tasso di interesse considerato in un contratto di mutuo, gli ultimi due punti sono più complessi perché riguardano il modo in cui si calcolano gli interessi e le commissioni sull’effettivo utilizzo dei fondi messi a disposizione. 

Interessi ultralegali

Per interessi ultralegali si intendono quegli interessi pattuiti tra le parti il cui tasso supera quello legale. 

Il tasso di interesse legale è il tasso di riferimento determinato annualmente dal Ministero del tesoro. Secondo l’articolo 1284 del Codice civile, questo è di norma pari al 5% annuo, ma può essere modificato in base all’inflazione e al rendimento medio annuo dei titoli di Stato con durata inferiore ai 12 mesi. Il valore del tasso di interesse legale è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica entro il 15 dicembre di ogni anno. Ad ogni modo, il tasso di interesse in un contratto di mutuo può eccedere quello legale, a patto che sia definito in forma scritta. Un consulente abilitato si periterà di verificare se e come è espresso il tasso di interesse a cui il contratto di finanziamento farà riferimento.

Interessi usurari

Altro discorso è quando il tasso di interesse abbia un importo spropositato rispetto alla tipologia di contratto di finanziamento. Qui il focus è escludere che si ricada nella casistica del prestito usurario, andando a valutare che i tassi di interesse applicati non si discostino eccessivamente dalla media del mercato.

Più precisamente, per interessi usurari si intendono quegli interessi che siano eccessivamente superiori rispetto al Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), la media di mercato rilevata ogni tre mesi dal Ministero dell’economia e delle finanze. 

Dal 2011, il calcolo del limite è così definito: un tasso di interesse è definito usurario se eccede tasso soglia (TS), misurato aumentando il TEGM di un quarto, a cui si aggiunge un ulteriore 4%. Ad esempio, se il TEGM rilevato è del 2%, per il Tasso Soglia si dovrà aumentare questo valore del 25% – quindi 2,5% – a cui si aggiungerà un ulteriore 4%, per un risultato di 2,6%. Quindi, un tasso di interesse del 3% su quel contratto sarebbe da considerarsi usurario, perché eccederebbe il Tasso Soglia. Il calcolo, quindi, è configurato per tenere conto dei valori del mercato del debito nella sua interezza, per non penalizzare gli eventuali Istituti di credito meno efficienti o premiare quelli che possano permettersi di influenzare il mercato con tassi eccessivamente ridotti.

L’articolo 1815 del Codice civile stabilisce che una clausola contrattuale che consideri tassi di interesse usurari è nulla e che i loro importi non sono dovuti dal mutuatario. Questo comporta in linea di principio che il debitore subissato da un tasso usurario può adoperarsi per riavere le cifre ingiustamente versate se, in accordo col parere dei consulenti abilitati, si valuti realistica la possibilità di pervenire a un parere favorevole in sede giudiziale o a un accordo stragiudiziale con l’Istituto di credito. 

Bisogna specificare che ciascuna categoria di operazioni del contratto di mutuo ha il proprio TEGM rilevato, pertanto, ci sarà un diverso tasso di interesse usurario per le seguenti categorie di operazioni di finanziamento:

  • Aperture di credito in conto corrente
  • Scoperti senza affidamento
  • Finanziamenti per anticipi su crediti, sconto portafoglio, ecc.
  • Credito personale
  • Credito finalizzato
  • Factoring
  • Leasing immobiliare (a tasso fisso o variabile)
  • Leasing aeronavale e su autoveicoli
  • Leasing strumentale
  • Mutui con garanzia ipotecaria (a tasso fisso o variabile)
  • Prestiti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione
  • Credito revolving
  • Finanziamenti con utilizzo di carte di credito
  • Altri finanziamenti

L’esistenza di diversi TEGM di riferimento non dovrebbe stupire: le operazioni sopra elencate si differenziano per durata, rischiosità, soggetto finanziato – persona fisica o giuridica – e scopo del finanziamento.

Anatocismo

L’anatocismo è il calcolo per il quale gli interessi a debito maturati in un determinato periodo vengono aggiunti alla somma iniziale per il calcolo degli interessi successivi. In sintesi, in caso di anatocismo, non solo il capitale ma anche gli interessi producono altri interessi. Come illustrato di seguito, questa pratica penalizza il debitore in caso di debito contratto per lunghi periodi di tempo. In matematica finanziaria, l’anatocismo è il calcolo degli interessi secondo il metodo del tasso di interesse composito.

Ipotizziamo un debito che non sia ripagato per più anni. Consideriamo, per esempio, un capitale di 100.000 euro di debito, con un tasso di interesse annuo al 2%. In caso di calcolo dell’interesse semplice, il capitale di debito produrrà ogni anno lo stesso interesse negativo: il 2% di 100.000 euro, dunque 2.000 euro di interessi negativi da pagare ogni anno. Se dopo due anni non sono stati ripagati né il capitale né gli interessi, il debito totale sarà pari a 104.000 euro: 100.000 di capitale di debito e 2.000 euro di interessi negativi per ciascuno dei due anni. 

In caso di anatocismo, alla fine del primo anno, il capitale di debito passerà dagli iniziali 100.000 euro a 102.000: ovvero, al capitale di debito si sommeranno i 2.000 euro di interessi non ripagati. Alla fine del secondo anno, il debito totale ammonterà a 104.040 euro: i 102.000 euro di capitale di debito a cui si aggiungono gli interessi al 2% del secondo anno, quindi 2.040 euro. Quei 40 euro in più rispetto al caso dell’interesse semplice sono il frutto dell’anatocismo. La cifra aggiuntiva tenderà a crescere esponenzialmente negli anni: su un arco di tempo di dieci anni, la cifra passerà da 120.000 euro a 121.899 euro.

L’articolo 1283 del Codice civile ammette l’anatocismo solo per gli interessi scaduti da almeno sei mesi. Tuttavia, affinché questi producano interessi a loro volta, è necessario che sia presentata una domanda giudiziale o sia stata stipulata una convenzione successiva alla loro scadenza. È quindi il giudice a stabilire il pagamento dell’anatocismo. In linea di principio, quindi, un interesse scaduto non può produrre a sua volta interessi in automatico. È opportuno specificare, tuttavia, che le novità legislative si sono alternate nel modificare l’applicazione di tale articolo e che è molto importante rifarsi alla giurisprudenza in materia. Un buon consulente dovrebbe essere informato tanto sulla normativa in vigore e sui suoi aggiornamenti quanto sull’orientamento delle sentenze sui casi analoghi a quelli del cliente.

Commissioni di massimo scoperto

La commissione di massimo scoperto (CMS) è un onere che l’Istituto di credito richiede al correntista come corrispettivo della disponibilità di una somma finanziata. La giustificazione da parte della banca risiede nella difficoltà di previsione della richiesta dei fondi da parte del cliente. In teoria, la commissione di massimo scoperto dovrebbe applicarsi solo sulle cifre di un fido effettivamente utilizzate. Nella prassi, questa regola non viene sempre rispettata, col rischio di applicare la commissione sull’intera cifra teoricamente disponibile. Per esempio, per un fido massimo di 20.000 euro a cui si attinga complessivamente per 7.000, la commissione non dovrebbe applicarsi su tutti i 20.000 euro teorici ma solo sui 7.000 euro effettivamente utilizzati dal correntista. 

La normativa ha regolamentato solo in parte il fenomeno. Dal 2012 la CMS è stata sostituita dalla Commissione disponibilità fondi (CDF) e dalla commissione di istruttoria veloce (CIV), regolate dalla Legge 62/2012 e dalla modifica dell’articolo 117 del Testo Unico Bancario (TUB). La commissione disponibilità fondi è un costo per la disponibilità dei fondi in fido, indipendente dal suo effettivo utilizzo; la commissione di istruttoria veloce è un importo fisso, proporzionale ai costi e al tasso di interesse debitorio sulle cifre prelevate.  Come si può osservare, queste due commissioni non risolvono l’incertezza di fondo.   

Perché effettuare perizie econometriche?

Queste le definizioni utili per capire una Pratica econometrica. Ma quali vantaggi porta la sua compilazione? Come detto, lo scopo di una Perizia econometrica è quello di rilevare eventuali illeciti contrattuali che determinano un indebito aggravio degli oneri contrattuali a carico dei clienti degli Istituti di credito.

Questo documento può essere richiesto tanto nel caso in cui il correntista intenda negoziare o rinegoziare una operazione di finanziamento, quanto in caso di controversia sorta tra questi e l’Istituto di credito. Nel primo caso, il correntista si munisce di un documento idoneo ad aumentare il proprio potere negoziale per ottenere migliori condizioni contrattuali. Se le cifre in essere giustificassero la spesa per una Pratica econometrica, questa scelta potrebbe comportare un risparmio nel lungo periodo. Nel secondo caso, la Perizia econometrica può essere prodotta anche come documento utile in fase giudiziale, cioè quando a decidere sull’illiceità delle clausole sia un giudice, o in caso le parti cerchino di arrivare a un accordo stragiudiziale, che permetta di evitare il dibattimento in aula. Questa seconda fattispecie copre i casi di valutazione ex post, ovvero quando tanto il finanziamento quanto gli aggravi illeciti si sono già verificati. 

Più nel dettaglio, la perizia econometrica può essere richiesta per:

  • Poter ottenere migliori condizioni contrattuali
  • Chiudere il rapporto contrattuale con un’operazione di saldo e stralcio
  • Opporsi a pignoramenti, decreti ingiuntivi revoche del fido o richieste di rientro immediate
  • Domandare che le procedure esecutive a suo carico siano sospese

Dunque, in caso di controversia, la perizia economica può essere un utile strumento per ribilanciare il potere negoziale o per far valere le proprie motivazioni in tribunale. Anche qui, un buon consulente, oltre alla correttezza dei calcoli e della relazione che compongono la Perizia econometrica, dovrebbe consigliare il cliente sull’opportunità di adire le vie legali, considerando costi, tempi ed effettive possibilità di un esito favorevole in sede giudiziale, rispetto alla scelta di un accordo transattivo. Quest’ultimo potrebbe essere meno compensativo in caso favorevole ma meno oneroso in caso avverso, e soprattutto più breve. Il rischio da evitare, per un correntista che si trovasse in difficoltà economiche, è quello di aggravare la propria situazione di illiquidità o insolvibilità con ulteriori esborsi consultivi o legali. 

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In caso di dibattimento giudiziale, il perito o il commercialista abilitato nominato dal ricorrente svolgono il ruolo di Consulente Tecnico di Parte (CTP), incaricato di illustrare le motivazioni del ricorso. Questo si confronterà con il CTU nominato dalla controparte e con il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), incaricato di supportare il lavoro del giudice con una apposita consulenza tecnica d’ufficio.

Le tipologie di perizia econometrica

Si è detto che la perizia econometrica è uno studio condotto da un professionista abilitato per verificare lo stato di fatto di un rapporto economico. Come tale, questo documento può rappresentare una prova a supporto della propria posizione, supportata dallo specialista. Ci sono diverse tipologie di perizia econometrica:

  • Perizia semplice
  • Perizia asseverata
  • Perizia giurata

I tre documenti si differenziano per il modo in cui vengono presentate. La Perizia semplice viene compilata dallo specialista e da lui firmata. In questo caso, lo specialista non si assume responsabilità sulla veridicità delle informazioni fornitegli dal cliente. Invece, con la Perizia asseverata il consulente garantisce la veridicità dei dati presentati: cioè egli dichiara di aver effettuato una verifica sulle informazioni e sui dati presentatigli dal committente della Perizia econometrica. Infine, in caso di Perizia giurata, la garanzia assume un valore probatorio ulteriore: non solo le informazioni sono asseverate dal consulente, ma egli giura sulla loro veridicità firmando un apposito documento di fronte a un pubblico ufficiale, assumendosi le responsabilità penali dell’eventuale falsa dichiarazione. Tra le tre, la Perizia giurata è quella col maggior valore probatorio, in quanto può essere contestata solo una querela di falso. 


Dunque, una Perizia econometrica può essere uno strumento molto utile per verificare che gli importi richiesti dall’Istituto di credito che ha erogato il finanziamento siano giustificati. A seconda del formato, questo documento può avere diversi livelli di valore probatorio. Conoscere lo scopo, il valore e il tipo di illecito verificato da una Perizia econometrica è un buon punto di partenza anche per chiunque si trovi in condizioni di dover negoziare una posizione debitoria, come per chi volesse ottenere le migliori condizioni di un finanziamento prima ancora di stipulare il contratto. È bene considerare poi che spetterà poi al giudice decidere quanto basare il proprio giudizio su questo documento. Una Perizia econometrica non dovrebbe quindi essere il punto di arrivo di una consulenza, quanto il punto di partenza per consigliare al meglio il cliente su quali siano le opzioni più utili e realistiche in base alla condizione che da questa risulti.

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Perizia Econometrica (CPT): a cosa serve e quando?